1. Nelle pagine che seguono svilupperò una tesi di Giovanni Falcone. Essa riguarda la nuova aggressività della mafia negli ultimi venti anni ed il susseguirsi, tipico della situazione italiana, di due emergenti criminali:
a. il terrorismo (nelle due varianti della violenza politica di estrema sinistra, le BR ed i gruppi affini, e dello "stragismo", violenza politica di opaca attribuibilità);
b. la criminalità organizzata di tipo mafioso.
Si tratta di una tesi che apre la porta ad un numero ragguardevole di considerazioni e che evidenzia il faticoso tragitto dell'Italia verso elevati livelli di sviluppo economico. L'Italia ha avuto infatti ingresso nel ristretto club dei paesi più sviluppati dovendo combattere contro una criminalità organizzata che vulnerava, oltre alla sicurezza ed alla fiducia dei cittadini dello Stato, il potenziale economico nazionale e la competitività dell'economia nel quadro internazionale.
Afferma Falcone: "Ma una cappa di silenzio cala ben presto sul fenomeno mafioso: gli anni Settanta sono gli anni del terrorismo. Tutti i migliori magistrati o quasi, il grosso delle forze dell'ordine sono impegnati nella lotta contro le Brigate Rosse e altre organizzazioni terroristiche. Pochi si interessano di mafia. Proprio allora prende il via il traffico di stupefacenti e la mafia si trasforma nella potenza che è oggi. Grave quindi l'errore commesso in un momento in cui si disponeva di tutte le informazioni e condizioni per capirla e combatterla. Il passaggio da una mafia poco attiva in campo economico a una mafia sempre più aggressiva si consuma tra il 1974 e il 1977.(...). Negli anni seguenti, grazie alla debolezza della repressione, la mafia prospera in tutti i settori dell'economia. Si comincia a parlare di mafia degli appalti e dei subappalti, di mafia dei supermercati, di mafia dei negozianti, di mafia delle tangenti... come se esistesse una miriade di organizzazioni, una accanto all'altra. Come se la mafia non fosse una e indivisibile." (1991, p.105).
2. La prima considerazione è relativa all'incidenza che sia il terrorismo di sinistra, sia la mafia hanno avuto ed hanno sull'economia del Paese.
Le Brigate Rosse e le altre organizzazioni di estrema sinistra che hanno operato in Italia negli anni '70 ed '80 si proponevano di abbattere l'economia capitalistica. L'Italia era dipinta come l'"anello più debole" della catena "imperialistica", alludendo con questo allo sviluppo tardivo ed accelerato del paese ed alla sua collocazione geopolitica: crocevia tra Est ed Ovest, tra settentrione e mezzogiorno planetari. Un paese collocato nell'area occidentale dagli accordi di Yalta, ma chiamato a confermare tale dislocazione con libere e combattive competizioni elettorali. L'aggressività terroristica era dovuta anche alla particolare vulnerabilità del paese nella crisi petrolifera di quegli anni: l'Italia a differenza di altri paesi sviluppati gode di una produzione minima di fonti di energia e, per una serie di congiunture geografiche, economiche, culturali e politiche, si era trovata in ritardo nella scelta del "nucleare".
Il terrorismo di sinistra ha avuto pesanti effetti sia sul sistema politico, sia sul sistema economico. Gli effetti sul sistema politico sono stati esaminati da una abbondante letteratura storica e di scienza politica. Gli effetti sul tessuto economico sono stati meno scandagliati. Ne cito alcuni:
a. una disincentivazione degli investimenti internazionali imputabile al rischio "violenza politica";
b. un "governo debole" delle fabbriche, proprio in un momento di crisi che avrebbe dovuto imporre una crescita della produttività;
c. una contrattazione collettiva orientata a favorire il lavoro manuale dipendente (salario, carriere, orari di lavoro, ritmi, rinuncia agli incentivi di produttività e di merito) pur in presenza di una riduzione degli utili e dell'accumulazione di risorse delle aziende;
d. la crescita di interventi pubblici di redistribuzione delle risorse a fini "sociali" con lo scopo di attenuare il conflitto e di evitare l'"infezione" estremistica nel mondo del lavoro e negli strati sociali meno privilegiati.
L'aggressione mafiosa all'economia di mercato non è diretta ma, annidandosi nelle pieghe del mercato stesso, è forse più grave e devastante. L'accumulazione del capitale mafioso avviene con i mezzi di seguito indicati:
a. traffico di stupefacenti allargatosi con l'espansione dei consumi successiva agli anni sessanta (Lamour-Lamberti, 1972; Baloni, 1983);
b. estorsioni minori ed estorsioni in danno di grandi imprese appaltatrici di opere pubbliche;
c. intimidazione della concorrenza nell'accesso ad appalti e nello svolgimento di attività di impresa;
d. concorrenza alterata dalla disponibilità di capitali di origine delittuosa; una vera e propria rendita criminale che consente forme di dumping nel mercato interno;
e. condizionamento di apparati statali con le conseguenti distorsioni della concorrenza in un sistema economico - come quello italiano - caratterizzato da una fortissima presenza degli investimenti statali;
f. diffusione di una cultura del parassitismo e del protezionismo in alcuni strati sociali.
Gli effetti dell'accumulazione mafiosa hanno ritardato e compromesso l'affermarsi di una economia di mercato in alcune zone del paese e hanno, a volte, inciso negativamente sullo sviluppo delle imprese sane, mortificate da una concorrenza alterata.
Va anche ricordato il circuito deviante imposto dalla pratica delle estorsioni. L'impresa taglieggiata (grande o piccola) è portata spesso alla evasione fiscale e all'alterazione della contabilità. Essa cerca di costituire dei patrimoni "in nero" al fine anche di soddisfare le pretese delle organizzazioni criminali (Marconi, 1985). La vittima dell'estorsione è portata a sua volta a trasgredire e a compiere grandi o piccole evasioni fiscali.
3. La seconda considerazione è relativa alla distorsione del sistema repressivo e di prevenzione del crimine imposta dal terrorismo. Nel decennio della violenza politica, lo Stato è costretto ad adeguare in modo accelerato le strutture di polizia al fine di far fronte ad una criminalità politica organizzata di dimensioni mai viste prima (superiore, per virulenza, allo stesso brigantaggio seguito all'unificazione dell'Italia, il quale - fra l'altro - fu stroncato con l'intervento diretto dell'esercito e con il codice militare di guerra). Il rafforzamento delle strutture di polizia viene, pertanto, nel decennio 1975 - 1985, destinato soprattutto a contrastare la minaccia più grave e più allarmante: quella terroristica.
Emblematico il caso del Generale Dalla Chiesa. Lo stato è in grado di destinare alla lotta contro la mafia uno dei suoi maggiori tecnici della repressione penale solo al tramonto dell'emergenza terroristica. Soltanto all'inizio degli anni '90 viene poi messo in piedi un efficace sistema di repressione fondato su innovazioni di diritto processuale e di "diritto dell'investigazione" e su più efficaci dislocazioni di risorse investigative e di sistemi di controllo del territorio.
Va ricordato che lo Stato risponde all'emergenza terroristica con una successione di interventi legislativi rivelatisi efficaci.
In una prima fase vengono introdotte nell'ordinamento una serie di disposizioni di "ordine pubblico" (Legge 22 maggio 1975, n.152; Legge 8 agosto 1977, n.533; Legge 6 febbraio 1980, n.15) e di rafforzamento della repressione di alcuni comportamenti. Non entro nei dettagli delle tre leggi. Esse hanno avuto una pluralità di scopi:
a. prevenire comportamenti di sovversione anche non riportabili al terrorismo al fine di ridurre la possibile area di influenza delle organizzazioni armate;
b. fornire maggiori certezze operative agli appartenenti alle forze di polizia;
c. rendere più severo il controllo delle armi;
d. offrire maggiori strumenti all'attività di polizia di prevenzione. In questa prima fase l'intervento non è ancora mirato all'obiettivo, tuttavia consente all'apparato di prevenzione maggiori possibilità operative.
In una seconda fase, con la legislazione sui pentiti (Legge 29 maggio 1982) e con le misure organizzative e legislative sulla "dissociazione" dal terrorismo, l'intervento diventa più specifico e consente di frantumare le organizzazioni terroristiche.
L'investimento di risorse normative segue, nella lotta al terrorismo, la seguente scansione:
a. interventi di prevenzione generalizzata;
b. interventi specifici di frantumazione;
4. L'azione di contrasto del terrorismo si accompagna in Italia con una certa politica di redistribuzione delle risorse a favore di ceti sociali e di aree geografiche più disagiate.
Con una politica della spesa pubblica lo Stato ha cercato di ridurre i conflitti nei quali potesse inserirsi l'azione del terrorismo e di contenere i consensi dei quali poteva godere il terrorismo in ambienti già portati all'estremismo politico.
La tabella seguente indica l'incremento delle spese pubbliche finali (in percentuale sulla spesa finale globale) in un periodo ad alta intensità terroristica ed in due settori: quello degli interventi in campo sociale e quello degli interventi a favore della finanza regionale e locale.
L'espansione accelerata degli interventi assistenziali ed a favore delle amministrazioni locali ha avuto, come effetto latente, anche quello di favorire l'addensarsi di attività criminali attorno ad alcuni settori dell'organizzazione pubblica.
La mafia, in quegli anni, ha visto moltiplicare i propri settori di intervento. Ha avuto la possibilità di "taglieggiare" le imprese incaricate della realizzazione di opere pubbliche e di inserirsi nel mercato delle opere pubbliche attraverso un duplice canale. Innanzi tutto potendo offrire prezzi inferiori, in virtù delle risorse accumulate attraverso il crimine. In secondo luogo condizionando ambienti politici e della pubblica amministrazione.
5. Non vi sono stati significativi rapporti tra mafia e terrorismo. Va tuttavia notato che la criminalità organizzata ha, a volte, preso a modello il terrorismo ed i rituali propri ad esso. In Campania la camorra, nei primi anni ottanta, ha cercato di costituirsi un entroterra sociale presentandosi come organizzazione che favorisce i più disagiati. La mafia siciliana, nell'evoluzione delle sue operazioni, sembra aver preso a prestito dalle BR il rituale dell'"unica" arma per una pluralità di delitti, arma che finisce con il rappresentare una sorta di "firma" del delitto. Il kalashnikov viene usato nell'uccisione di Stefano Bontade, di Salvatore inzerillo, di Salvatore Contorno, di Alfio Ferlito, infine del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. "Siamo giunti alla conclusione - scrive Giovanni Falcone - che un unico mitragliatore, sempre lo stesso, era stata l'arma dei cinque delitti".
La mitragliatrice Skorpio aveva assunto la funzione di simbolo nelle azioni terroristiche delle Brigate Rosse.
Con grande probabilità, la mafia trae dall'esperienza del terrorismo la propensione per azioni di alto livello destabilizzante. Si pensi alle uccisioni di La Torre, firmatario di una efficace legge antimafia, e poi del Generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino.
Le uccisioni dei due magistrati Falcone e Borsellino meritano una riflessione sull'operatività mafiosa, condotta con i criteri delle analisi del terrorismo politico. Con i due omicidi l'organizzazione mafiosa si orienta al conseguimento di due risultati. Uno semplicemente strumentale, cioè la eliminazione di due magistrati che conoscevano a fondo il fenomeno mafioso e le tecniche di investigazione. Un secondo, di tipo espressivo: manifestare la vulnerabilità delle istituzioni in un momento di crisi politica del paese ed in una fase di passaggio a nuovi equilibri istituzionali (l'anno dei due omicidi è anche quello nel quale matura il passaggio dalla 1ª alla 2ª Repubblica).
6. L'esperienza della repressione del terrorismo è stata utilizzata dai legislatori e dalle istituzioni di sicurezza nell'azione di contrasto della mafia.
Se si analizza la nuova legislazione antimafia si può leggere il medesimo schema adottato nei confronti del terrorismo. Con la legge Rognoni-La Torre il legislatore accresce i poteri investigativi e accresce la possibilità di reprimere i comportamenti mafiosi. Per alcuni versi è una legge "di polizia" e di "prevenzione" (Fiandaca-Costantino, 1983) non ancora specificamente "mirata" ma utile al fine di consentire maggiori possibilità di osservazione e controllo del fenomeno mafioso.
In una fase successiva, con gli anni '90, si perviene ad una legislazione mirata che consente di incidere a fondo nel corpo delle organizzazioni mafiose. Cito alcuni nuovi strumenti introdotti dal legislatore:
a. l'intercettazione ambientale;
b. le norme di tutela dei pentiti e dei loro familiari unite ai piani di "trattamento" affidati ad una apposita commissione;
c. il trattamento penitenziario differenziale per gli appartenenti a pericolose organizzazioni criminali.
Anche nei confronti della criminalità organizzata ci si trova di fronte a due fasi dell'investimento legislativo:
A. prevenzione generalizzata;
B. interventi specifici di frantumazione.
Tra i nuovi strumenti adottati nella fase B va anche considerata la "militarizzazione del territorio", cioè l'intervento delle FF.AA., in funzione di prevenzione, nelle zone a rischio. Si è trattata di una prassi che ha ricevuto il consenso degli abitanti delle zone interessate e che ha sollevato le forze investigative da compiti generici di prevenzione passiva, consentendo ad esse di concentrare l'impegno sulle indagini.
7. Le due fasi di intervento nei confronti del terrorismo e della mafia si sono accompagnate anche ad un affinamento dell'intelligence dei due fenomeni. Per il terrorismo si inizia con una fase di sottovalutazione e svalutazione del fenomeno. All'esordio, se non da parte di alcuni esponenti politici e delle forze di prevenzione, il fenomeno terroristico viene inteso come sporadico e non si coglie la intelligenza strategica che lo guida: si preferisce demonizzarlo come forma di criminalità maniacale. In una seconda fase si coglie la strategia terroristica e si apprestano nuove forme di comprensione che fanno da premessa alla legislazione sui pentiti. Le forze di sicurezza comprendono che per ottenere la dissociazione ed il "pentimento" di appartenenti ad organizzazioni rese compatte dal collante ideologico occorre non solo la fermezza repressiva ma anche una capacità di dialogo fondata sul riconoscimento di una "dignità", sia pure portata al crimine, degli appartenenti alle formazioni armate.
Un elemento di svolta si ha, ad esempio, quando il Ministro dell'interno del tempo, on. Oscar Luigi Scalfaro, comincia a commentare ed a rispondere ai comunicati delle BR non considerandoli come "delirio" di criminali, ma come elaborazioni dotate di rigore culturale ed ispirate a razionalità strategica. Il nuovo atteggiamento delle autorità ha certo avuto un ruolo nell'accelerare la dissoluzione delle formazioni terroristiche. (Deve rimanere chiaro tuttavia che la dissoluzione del terrorismo in Italia è stata anche dovuta a variabili "esterne" e cioè alla modificazione dei rapporti Est-Ovest e Nord-Sud).
Una nuova filosofia della comprensione del fenomeno mafioso la offre Giovanni Falcone. Questo magistrato, rigorosissimo nella repressione e severo interprete delle dichiarazioni dei "pentiti", non mancava mai di riconoscere gli elementi di "dignità" presenti negli appartenenti alle organizzazioni criminali. Anche in questo caso si assiste al passaggio dalla "sottovalutazione-svalutazione" alla comprensione ed alle premesse per favorire la "resa" di una parte degli appartenenti all'organizzazione criminale.
La mafia, come tutte le organizzazioni criminali dotate di un entroterra costituito da una cultura "nazionale" o "regionale", ha goduto di consensi nelle zone nelle quali operava.
Le criminalità espressive di una sub-cultura forte prosperano proprio in virtù della protezione offerta dall'ambiente nel quale esse operano.
Particolarmente importante è stato quindi il modificarsi dell'opinione pubblica nelle zone nelle quali opera la mafia. Una serie di soggetti, istituzioni statali, partiti, associazioni, hanno contribuito a modificare l'immagine della mafia e a sviluppare tendenze antagonistiche verso il crimine nella società. La mafia, attraverso un lungo lavoro di educazione e di formazione di una nuova cultura, è stata rappresentata non semplicemente come un "nemico" delle istituzioni statali ma come un nemico della società civile. Ciò ha favorito l'isolamento della mafia negli ambienti ai quali essa si riferiva tradizionalmente.
8. Qualche parola merita anche l'atteggiamento delle forze politiche nei confronti della repressione della criminalità mafiosa. In passato il tema della lotta alla mafia aveva suscitato gravi divisioni nel sistema dei partiti. Oggi le polemiche non si sono attenuate. Va tuttavia notata la continuità con la quale operano i governi in materia di contrasto della criminalità mafiosa.
I governi seguiti alle elezioni del 1994, che hanno radicalmente modificato la consistenza dei partiti tradizionali ed imposto una radicale svolta politica, hanno sottolineato di volersi muovere, in materia di contrasto del crimine organizzato, sulla stessa linea di quelli precedenti.
Nessuna delle norme significative degli ultimi anni è stata attenuata o modificata, anche quando esse potevano apparire criticabili dal punto di vista della stretta legalità processuale. I governi succedutisi negli anni '90 hanno mostrato di aver ben compreso che il fenomeno mafioso richiede una repressione superiore per intensità (e per strumenti investigativi) rispetto alla normale criminalità. Le regole del processo penale moderno, ispirato alle garanzie individuali, spesso rischiano di favorire gli appartenenti a gruppi armati e organizzati di criminali che si muovono con la logica della "guerra allo Stato" più che con quella del puro e semplice delitto. La soluzione cercata, con continuità, dal Parlamento è stata quella di garantire insieme il massimo di legalità con il massimo di efficacia dell'opera di contrasto.
9. Quanto scritto prima è dedicato allo specifico problema della mafia. In Italia sono presenti altre tre organizzazioni criminali che affondano le proprie radici in una etnia e in complessi rituali di appartenenza: la 'ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita. Si tratta di organizzazioni che si differenziano da quella mafiosa:
a. per entità dell'insediamento sociale;
b. per la tipologia dei reati ai quali sono portate;
c. per il periodo più recente nel quale si sono affermate. Occorre dire che il traffico degli stupefacenti ha fatto da veicolo di collegamento e di omogeneizzazione delle diverse organizzazioni.
Sinteticamente si può affermare che le misure adottate in materia di mafia hanno manifestato la propria efficacia anche nei confronti delle altre organizzazioni le quali sono state duramente colpite dal fenomeno del "pentitismo".
10. Per una valutazione dell'efficacia delle misure adottate dal Parlamento e dal Governo in materia di contrasto della criminalità organizzata, occorre evitare analisi globali e suddividerle in settori.
La valutazione di efficacia va condotta nei confronti:
a. della mafia come "organizzazione";
b. della mafia "militare" nei suoi tre campi di azione:
b 1. quello del terrorismo che colpisce gli uomini più eminenti delle istituzioni;
b 2. quello della violenza interna alle "cosche";
b 3. quello della intimidazione sociale condotta con la violenza;
c. della mafia come organizzazione economica nei suoi campi di operatività:
c 1. il traffico di droghe;
c 2. la partecipazione agli appalti pubblici;
c 3. il condizionamento di ambienti politico amministrativi;
c 4. le estorsioni;
c 5. gli investimenti "legali".
a. L'efficacia sulla mafia come organizzazione
Una parte considerevole della "élite" mafiosa è oggi detenuta ed i latitanti sono stati nella quasi totalità assicurati alla giustizia. Le più recenti misure di contrasto non hanno soltanto colpito i "gruppi dirigenti" mafiosi, ma anche la struttura organizzata.
Da alcuni sintomi si ricava che la mafia, in alcuni casi, rinuncia alla affiliazione di tipo "mistico" dei propri aderenti. La cerimonia pone a rischio (di "pentimento") coloro che partecipano alla "iniziazione". La mafia cercherebbe quindi di configurarsi come le normali associazioni criminali "laiche" rinunciando alla ritualità tradizionale. Ciò è dotato di notevole valore. Una organizzazione non cementata dalla tradizione (così come dalla ideologia o dalla cultura) è sicuramente più vulnerabile alla risposta della legge. Questo effetto può essere considerato il prodotto sia delle norme sui "pentiti", sia della nuova cultura etnica sviluppatasi nelle aree di insediamento della mafia che comincia, con forza e diffusamente, a respingere la cultura e la operatività mafiose.
Va anche segnalato che una mafia priva dei riti di iniziazione vede rompersi il proprio rapporto con il "territorio di riferimento" e può godere sicuramente di minori spazi di operatività.
b. L'efficacia sulla mafia "militare"
b 1. Il potenziale bellico ad alta intensità è stato sicuramente ridotto. Le operazioni simboliche ad alto effetto deflagrante appaiono oggi alla mafia troppo rischiose per essere poste in atto. Si percepisce qui l'effetto dei "pentiti" che hanno reso vulnerabili i vertici dell'organizzazione.
b 2. Permane una intensa conflittualità tra le cosche con sanguinosi episodi di violenza. I colpi inferti al vertice dell'organizzazione mafiosa hanno prodotto una intensificazione dei conflitti interni tra le cosche minori.
b 3. Ci sono sintomi di riduzione della intimidazione sociale, quella, ad esempio, diretta alle estorsioni. Pesa sulla organizzazione mafiosa la consapevolezza di non essere più invulnerabile e, come più avanti si vedrà, un diverso atteggiamento delle vittime.
c. L'efficacia sulla economia mafiosa
c 1. Per quanto riguarda il traffico di stupefacenti occorre dire che sono state possibili, anche in virtù di nuove norme, positive operazioni coordinate a livello internazionale. I dati sul consumo di stupefacenti indicano tuttavia che il mercato ed i traffici sono ancora pericolosamente attivi.
c 2. Le nuove norme sugli appalti e i controlli sulla vita amministrativa e sulle aziende hanno reso più difficile la partecipazione delle imprese mafiose alla esecuzione di opere finanziate dalla collettività.
c 3. Il condizionamento degli ambienti politico amministrativi è stato duramente colpito. L'esperienza costituita in questi anni dovrà favorire misure costanti di vigilanza al fine di impedire che si riformi un intreccio tra capitale criminale e settori corrotti della dirigenza pubblica.
c 4. La piaga delle estorsioni continua. Va tuttavia notato che è aumentato considerevolmente il numero delle estorsioni denunciate. La politica di più intensa repressione del fenomeno mafioso e la nuova coscienza sociale hanno fatto crescere le reazioni delle vittime che finalmente hanno il coraggio di segnalare il reato alle autorità.
c 5. Per quanto riguarda gli investimenti legali occorre notare come le nuove norme sul controllo dell'origine dei depositi bancari e sulla attenuazione del segreto nel settore del credito hanno posto dei freni alla operatività della finanza mafiosa. La questione si sposta tuttavia sul terreno internazionale. Va osservato anche che una efficace azione di coordinamento della repressione di questo tipo di criminalità economica è limitata dalla esistenza di "santuari" nei quali il segreto bancario è impenetrabile e dai quali non viene una concreta collaborazione alla prevenzione dell'investimento di origine mafiosa.
BIBLIOGRAFIA
Arlacchi, Gelardi, Lamberti, Nocifora, Tessitore: Mafia, 'ndrangheta e camorra, (Nocifora ed.), Roma 1982
Balloni: Crimine e droga, Bologna 1983
Falcone: Cose di Cosa Nostra, Milano 1991
Fiandaca-Costantino (a cura): La legge antimafia tre anni dopo, Milano 1986
Ghessi: La finanza pubblica in cifre, Milano 1983
Lamour-Lamberti: Les grandes manoeuvres de l'opium, Paris 1972
Marconi: The victimis of crimes of extortion and kindnapping, seventh United Nations congress on the prevention of crime, Ministero Grazia e Giustizia, Milano 1985
Marconi: Economie della giustizia penale, Venezia 1984
Savona (a cura): Mafia Issues, ISPAC, Milano 1993